Le 4 stagioni del riso

A livello fotografico, il momento più creativo è certamente quello della sommersione dei campi con l’acqua, in primavera, che trasforma la pianura del vercellese in un “mare a quadretti”. Perché il riso per crescere necessita di essere sommerso dall’acqua anche se il periodo di siccità che in questi anni interessa sempre più seriamente il Piemonte, sta portando ad utilizzare sempre più spesso la semina “a secco”.

Ma la coltivazione del riso è una attività che impegna quasi tutti i 12 mesi con un rallentamento solo nel periodo invernale modificando in continuo il paesaggio.

Principalmente sono 4 le fasi: la sistemazione dei terreni, la semina, la fioritura e la maturazione, alla quale segue il raccolto.

Per un anno siamo andati nella pianura dei comuni di Trino vercellese, Crescentino e del principato di Lucelio, per raccontare per immagini le stagioni del riso, come il paesaggio cambia dalla preparazione dei terreni alla raccolta.

Sotto il fotoracconto di Norberto Maccagno. Per ingrandire l’immagine cliccate sulla prima e poi scorrete con la freccia.

 

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San Francisco, l’amore per la città “disegnato” sui muri

“C’è così tanto amore in questa città” recita un murale nel distretto di Mission.

Forse l’amore non è necessariamente così tanto, ma c’è sicuramente qualcosa di molto speciale in questa città, che ho sempre sentito durante le numerose visite che ho fatto in 40 anni a questa bellissima signora distesa tra l’oceano e la baia.

E non è solo per le viste iconiche del ponte, di Lombard St. o dei cablecars: dai tempi di Janis Joplin e degli Airplane fino ad oggi è stata una questione di atmosfere, creata dai suoi cieli nuvolosi e dalle calde giornate di sole; tutti i tipi di musica, le bellissime case vittoriane, l’architettura moderna, i venditori di cibo di strada, i ristoranti bio-vegani, il Flower Power, la techno people. E la squadra dei 49ers, naturalmente. E i quartieri dove etnie provenienti dalle più disparate aree del mondo si sono stabilite nel tempo: Chinatown, North Beach, Japantown e il barrio latino nell’area lungo Mission street con i suoi meravigliosi murales che raffigurano scene di Santi e Madonne, antiche divinità Maya… e Santana.

E sopra a tutto questo – letteralmente – corrono le linee elettriche: una rete infinita di fili, che sembra mantenere unita tutta la città e portare la scintilla che dà vita alle diverse attività, ma che, allo stesso tempo, sono l’onnipresente elemento nel paesaggio urbano: un simbolo che ci riporta indietro nel tempo, ricordando la storia spesso avventurosa e drammatica di questa città.

Ma partendo proprio da quel murale citato nell’introduzione, vorrei portarvi in una colorata passeggiata alla scoperta delle opere degli artisti di strada che possono raggiungere livelli di elevata qualità sia artistica che di intensità del messaggio spesso legato al sociale. Infatti è facile trovare soggetti legati alle leggende mitologiche degli Aztechi, Maya o altre popolazioni precolombiane.

Oppure lavori che illustrano l’opera e le azioni di personaggi di diversa estrazione e di grande spessore – Frida Kahlo, Martin Luther King, Gandhi, Cesar Chavez, Oscar Romero – fino a uomini donne e bambini che hanno sofferto l’emigrazione, la violenza e i soprusi subiti in quanto immigrati clandestini o meno,  e sono diventate figure che con il loro storia drammatica sono diventate iconiche per una resistenza civile ai problemi derivati dalla carenza di diritto al lavoro, alla casa, all’istruzione.

Un argomento ricorrente è il fare parte di una comunità e dunque molte opere celebrano non solo l’area della Mission ma anche scuole e particolari altri posti che sollecitano l’orgoglio di appartenenza e celebrano figure che hanno dato valore a queste piccole o grandi entità. Non solo riferenti alla comunità latina dato che che si possono ammirare murales dedicati ad altre comunità che vivono in città.  Ad esempio i murales rivolti alla comunità cinese, che descrivono fatti e personaggi di quel popolo.

Santana, i cui genitori sono emigrati insieme al giovanissimo Carlos dal Messico alla Mission, è un ‘eroe’ per la gente che vive in questo distretto. Pertanto aveva suscitato molto clamore il recente atto di vandalismo del murale rappresentante Santana, sulla 19 Strada all’incrocio con Mission St.  Il murale è stato ripristinato in pochi giorni, con grande ecco mediatico, dall’artista che lo aveva originariamente eseguito.

Ricordiamo che questo mezzo di espressione era stato sviluppato introdotto nella cultura messicana già in epoca precolombiana e in seguito rivitalizzato e sviluppato all’inizio del XX secolo poiché il vasto analfabetismo delle popolazioni Messicane e Latino Americane in generale,  poteva essere in parte superato da queste immagine didascaliche e di forte impatto sociale. I tre ‘maestri’ del muralismo furono ‘I Tre Grandi’, come erano chiamati Diego Rivera, José Clemente Orozco e David Siqueiros, che seppure con approcci ‘marxisti’ diversi, hanno portato il ‘muralismo’ alle più alte vette espressive.

Rimaniamo però nell’ambito della città di San Francisco: proprio in questa città esistono ancora i tre più famosi murales (anche se il termine tecnico più appropriato sarebbe affresco) di Diego Rivera. la prima opera, terminata nel 1931, si intitola ‘Allegoria della California’ e la si può ammirare, in orari e giorni specifici, nella grande scalinata del City Club al n. 155 di Sansome Street.

La seconda opera, dello stesso anno, intitolata “La realizzazione di un affresco che mostra la costruzione di una città” e si trova al n. 800 di Chestnut St. all’interno del San Francisco Art Institute. È considerato un ‘affresco dentro un affresco’ poiché mostra i pittori mentre eseguono l’affresco stesso impegnati sulle impalcature, sovrapposte all’opera che stanno dipingendo.

La terza ed ultima opera eseguita negli Stati Uniti da Diego Rivera è la grandiosa ‘Unità Pan-Americana’, (il cui titolo ufficiale è ‘The Marriage of the Artistic Expression of the North and of the South on the Continent’) un ‘collage’ di 10 pannelli di diversi ma complementari argomenti che spaziano del Messico precolombiano alla Seconda Guerra Mondiale e che si possono ammirare nel City College di San Francisco al n. 50 di Phelan Avenue. La dimensione totale è di circa 7 metri di altezza per 23 metri di larghezza ed era stato commissionato a Rivera per essere esposto in occasione dell’Esposizione Internazionale del Golden Gate.Il lavoro cominciato nel giugno del 1940 non fu terminato in tempo per il settembre dello stesso anno, data di chiusura dell’Expo, ma fu nondimeno continuato e portato a conclusione nel mese di dicembre.

I murales si possono trovare in ogni zona della città ma molti sono localizzati nell’area di Mission Street dalla 17a alla 25a strada. In particolare alcune strade sono ormai dedicate da anni a questa arte come  Sycamore, Balmy, Cypress e Clarion. Ma ogni vicolo o traversa della zona può riservare grandi sorprese…

E’ da sottolineare la provvisorietà di molte di queste opere. Infatti, mentre per alcune di esse per il loro significato, per la dimensione e per il valore intrinseco dell’opera stessa rimangono intoccabili e/o periodicamente restaurati, molte altre vivono finché non vengono ricoperte da nuovi murales, anche nel giro di pochi giorni. (nelle foto successive si vedono 2 artisti eseguire la propria opera sovrapponendola a opere preesistenti”

La foto successiva ritrae un opera “intoccabile”, sul posto da 20 anni.

Seguono foto di soggetto vario astratto/fantastico

 

Sotto la gallery completa delle immagini. Cliccando sulla prima si ingrandisce e è possibile scorrerle in sequenza.

 

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La Provenza del Piemonte

Si chiama Sale San Giovanni e si trova nelle splendide colline piemontesi nell’Alta Langa, la “mezza montagna” di quel cuneese che sente già il profumo del mare. Un paesino di 170 anime (a quasi 700 metri di altezza) che tra giugno e metà luglio accoglie migliaia di visitatori per la fioritura della lavanda, ma da vedere ci sono anche due belle chiese ed un castello.

Una vera e propria attrazione turistica quella della lavanda, organizzata e ben gestita con vari percorsi a piedi (il più lungo è di 9 chilometri a questo link gli itinerari) che non fa rimpiangere la Provenza.

Durante la passeggiata ovviamente i colori della lavanda ma anche di molte altre erbe oltre al grano antico Enkir considerato il “padre dei cereali moderni”, il “triticum monococcum il più antico cereale del mondo”.

Sotto il nostro fotoracconto (cliccando sull’immagine si ingrandisce).

 

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Il Miglio Sacro con i ragazzi che stanno facendo “scoprire” il Rione Sanità

Antonio comincia a raccontarmi della Cooperativa la Paranza dopo un’oretta che siamo in giro per il Rione Sanità di Napoli. Si siede nella navata della Basilica di San Gennaro Extra Moenia -che è certo luogo di culto ma anche spazio di incontro culturale per mostre ed eventi, ingresso all’area delle Catacombe e fino a una decina di anni fa magazzino dell’Ospedale San Gennaro in cui è inglobato- e comincia a descrivere il luogo, poi parlando della Cooperativa che ha permesso la rinascita di questi luoghi un tempo abbandonati e comincia.

“Ci siamo chiamati Paranza come le cose belle e buone della nostra terra”, dice Antonio volendo subito creare una linea di demarcazione con i luoghi comuni che legano il quartiere, alla visione data dai film come Gomorra o dal libro di Saviano “la Paranza dei bambini”, per l’appunto.

Antonio è la mia guida nel quartiere Sanità: stiamo ripercorrendo “il Miglio sacro”, uno dei percorsi che i ragazzi della Cooperativa La Paranza propongono ai turisti.

“Siamo nati una decina di anni fa, grazie ad una delle tante intuizioni diventate realtà di Don Antonio Loffredo, ora diamo lavoro a 35 persone, quasi tutti ragazzi della Sanità”, spiega Antonio.

Don Loffredo è il parroco del Rione Sanità, da una ventina d’anni cerca di dimostrare che in un quartiere giudicato difficile, ma ricco di storia, di cultura, di tesori architettonici e gastronomici, si può fare nascere opportunità e dare lavoro e futuro ai ragazzi del posto.

Antonio mi racconta che tutto nasce da una scommessa, riportare alla luce quegli gli spazi delle Catacombe che fino ad allora erano state lasciate al degrado e farne un luogo di attrazione turistica. Don Loffredo prepara il progetto cerca finanziatori e supporto, presenta un bando per ottenere fondi dall’Unione Europea e lo vince. Comincia così il percorso di rinascita che in pochi anni ha consentito di aprire questa parte delle Catacombe di Napoli fino ad allora chiuse e portarci, nel 2018, oltre 150 mila turisti e dare lavoro a 35 ragazzi.

Tra loro Amara un ragazzo senegalese che parla un perfetto napoletano arrivato due anni fa con i barconi ed ospitato in una colorata accoglienza della parrocchia a fianco del Cimitero delle Fontanelle. Amara è oggi la guida dei turisti francesi nel sottosuolo del Rione.

Un interesse turistico per il Rione che ha generato anche un notevole indotto con la rinascita di ristoranti ed altre attività dedicate al turista confermando la visione di Padre Antonio, dare una prospettiva lavorativa e di sviluppo al quartiere.

Quello del Miglio Sacro è uno dei percorsi turistici proposti dalla Cooperativa, a mio parere il più bello perché permette di vivere il Rione che diede i natali anche a Totò.

Si parte da Porta San Gennaro e da subito ci si immerge nel colorato e vivo quartiere attraverso il suo mercato, i suoi palazzi storici come Palazzo Sanfelicie e quello dello Spagnuolo (resi famosi da molti film), i vicoli, le chiese (tre le quali la bellissima Basilica Santa Maria della Sanità), le Catacombe ed il Cimitero delle Fontanelle.

Grazie a La Paranza, ed ad altre Cooperative che sono nate negli anni successivi, oggi un quartiere considerato un ghetto è diventato meta turistica dimostrando che questa è la vera ricchezza, una certa alternativa a quanto può proporre la criminalità.

Ed al termine delle tre ore in compagnia dei ragazzi de la Paranza, anche il vostro cuore batterà forte per La Sanità.

Guarda il fotoracconto di Norberto Maccagno cliccando sulla prima foto sotto.

 

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Del Muro di Berlino rimane il ricordo, una linea e pochi resti

A 30 anni dalla caduta del Muro di Berlino, dei suoi 155 km di cemento rimane poco, e quel poco è un set per selfie in pasto ai turisti o per gli artisti di strada.

A memoria del “Muro” rimane una linea incastonata nella strada quasi a dire: doveroso ricordare ma anche andare oltre.

Qualche tempo fa abbiamo fatto un giro per la città cercando “il muro”. Ecco il nostro fotoracconto. A questo link immagini ad uso editoriali sul tema

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A spasso tra i caldi colori dell’ocra

Se le vostre vacanze vi portano in Provenza (Francia), c’è un paesino che non dovete perdervi: Roussillon.

Arroccato su di una collina è famoso per il suo “Sentiero delle Ocre”, dove il colore forte delle rocce contrasta con il verde degli alberi ed il celo azzurro della Provenza.

Le rocce per certi versi ricordano il Moab dello Utah o il Brice Canyon, anche se lo spazio è decisamente più “ristretto”.  

Due i sentieri da percorrere a piedi tracciati, ben segnalati e fattibili anche con bambini, uno da 30 minuti e uno da 60 minuti (ma i tempi indicati sono molto generosi) che vi porteranno nel cuore del parco ammirandone i colori e le forme delle rocce e della vegetazione.

Infine, uscendo dal parco, un giro per le vie stette del paesino e lo sguardo sulla valle dalla sommità della piazza del paese è d’obbligo.

A questo link il sito ufficiale.

Sotto il nostro fotoracconto.

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A Berlino, passeggiando tra i blocchi per non dimenticare

2.711 blocchi di cemento rettangolari, di dimensione diversa, sistemati a griglia in modo da sembrare bare, che formano un labirinto i cui stretti corridoi dal fondo “ondulanto”, sono a simbolo della condizione degli ebrei durante il periodo raziale.

E’ il Memoriale per gli ebrei assassinati d’Europa, o memoriale dell’Olocausto, e come molti dei luoghi di ricordo a Berlino è sobrio, non retorico, dove la pesantezza del ricordo riesce ad essere anche leggera.

Il monumento si trova nel quartiere di Mitte (un tempo era la terra di nessuno tra i due lati del Muro) circondato da un parco, palazzi, ed a nord dall’ambasciata USA e poco più avanti la Porta di Brandeburgo ed il palazzo del Governo.

L’area, di circa 20 mila metri quadrati, è sempre aperta in modo che si possa vivere: unico limite (spesso disatteso) non salire sui blocchi. Sotto l’area un “Centro di documentazione” che raccoglie le storie e testimonianze delle famiglie vittime dell’Olocausto in Europa.

All’uscita, uno scritto di Primo Levi ammonisce ricordando che quanto è successo, può succedere di nuovo.

 

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Tokyo, al mercato del pesce che non c’è più

Tsukiji, il famoso mercato del pesce di Tokyo, si è appena trasferito abbandonando la sede che lo ha ospitato per più di 80 anni.
Al suo posto nascerà un parcheggio che servirà per le Olimpiadi.

In realtà il mercato da tempo non riusciva più ad essere funzionale e non poteva espandersi essendo nel centro cittadino.

Oltre ad essere un polo commerciale, 12,6 milioni di euro il fatturato giornaliero, a metà mattina il mercato si apriva ai turisti e tutta l’area, a poca distanza dal ricco quartiere di Ginza, diventava quasi impraticabile per il numero di persone che lo frequentavano ed affollavano le vie limitrofe piene di sushi bar, locali e negozi. I più temerari, nel cuore della notte, si mettevano in coda per assistere all’asta dei tonni che si svolgeva alle prime luci dell’alba.
Turisti che vagavano indisturbati tra le casse di pesci di ogni specie, forma e colore, ammassate a prima vista senza una logica, cercando di non farsi mettere sotto dai “cilindrici” carrellini elettrici.

La nuova sede si trova sull’isola artificiale di Toyosu, a circa tre chilometri e mezzo di distanza da quella storica: è più grande e meglio attrezzata, ma sembra aver meno fascino rispetto al vecchio mercato.

Per chi non l’avesse visto, o per ricordare la visita, il nostro fotoracconto al mercato del pesce che da qualche giorno non c’è più.

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I volti di New York

Nessun posto al mondo è paragonabile a New York perchè New York ha dentro di sè l’anima di tutti i posti del mondo.
Siamo abituati a visitare città ed ammirarne i monumenti, le costruzioni, le opere d’arte, ma ciò che rende unica questa città non sono i grattacieli, non sono i taxi gialli, i ponti e nemmeno la Statua della Libertà.

New York è una metropoli enorme, milioni di strade che si intrecciano ordinate, e appena arrivi a Manhattan e sali i gradini della metropolitana riesci solo a guardare in aria e a sentirti dentro un film.

È solo alla fine del tuo viaggio che ti rendi conto di non aver visitato una città bensì di aver incontrato la vita negli occhi di chi la città la vive.

Hai camminato per chilometri ascoltando decine di lingue diverse, hai guardato facce provenienti da tutto il mondo, sfiorato per sbaglio pelle di un colore diverso dal tuo.

Ti sei stupito di fronte a cose che fino ad un attimo prima reputavi strane e che invece tra la gente di New York appaiono del tutto normali.

Hai visto artisti, lavoratori, turisti convivere in un’armonia magica.

Hai trascorso ore che sembravano secondi nella corsa della città che non dorme mai ed attimi eterni.

Hai assaggiato sapori di tutti i Paesi, sentito l’odore della pioggia rabbrividendo ed il sole ti ha scaldato mentre stavi disteso su un prato a Central Park.

Hai conosciuto che cos’è la libertà.

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Castelluccio di Norcia ritorna ad essere magico

Castelluccio (Norcia-PG) è un luogo dove il tempo si mescola creando forme inaspettate. Un luogo per certi versi magico, laddove un rifiorire di sensazioni immediate assumono fisionomie a tratti tangibili, a tratti immateriali ed incorporee. Sentimenti insospettabili si rincorrono in rapide scorribande dove l’anima ogni volta scalpita rinnovandosi come quel fresco mattino che sorge all’alba donandoci una vita nuova, imprevedibili bellezze e cotanti misteri.

Castelluccio (Norcia) è un luogo che sembra vivere al di fuori del tempo; il silenzio sembra asciutto, il vento si alterna a momenti di calma ( apparente! ) tanto che lo sguardo fa fatica a posarsi sulle cose e a scorgere attimi dietro a quei contorni che sembrano cambiare forma in un baleno.

Le montagne che sono vetuste, antiche, perfettamente intatte nel loro stato d’animo vivo ed imponente … sono lo sfondo ideale per un paesaggio che produce stupefazione e sbigottimento ogni qual volta lo sguardo si appoggia su di esso.

Il presente che si muove in maniera diligente, quasi danzando sulle punte attraverso movimenti ordinati, ponderati, e la macchina fotografica che persino si commuove quando inquadra bambini avvolti in tutto il loro splendore; occhi che rivelano alla vita la speranza vera, pura, il candore di chi la vita la sente palpitare dentro come un fuoco sempre acceso.

Una signora anziana, che forse, pensa alla solitudine come a un luogo persino affascinante. Una dimensione da cui attingere nozioni per poter affrontare un cammino nuovo, o una vecchia strada, usata nel tempo … perché il tempo passa con eleganza, lasciando segni, tracce indelebili sia della vita che tanto amiamo, sia della morte che ancora non conosciamo.

Nota: Il 30 ottobre 2016 il paese di Castelluccio è stato quasi completamente raso al suolo da un importante evento sismico. A due anni dall’evento il paesino si sta riprendendo ma non ha abbandonato il suo fascino e la sua “magia”

 

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