A Roma il World Press Photo 2019

Fino al 26 maggio 2019 sarà possibile visitare, a Palazzo delle Esposizioni di Roma, la 62°edizione del World Press Photo.

La mostra ospita in “prima mondiale” le 140 foto finaliste del prestigioso contest di fotogiornalismo selezionate tra 78.801 immagini scattate da 4.783 fotografi provenienti da 129 paesi diversi.

I fotografi finalisti, che si sono contesi i premi, e protagonisti della mostra sono 43 provenienti da 25 differenti paesi: Australia, Belgio, Brasile, Canada, Repubblica Ceca, Egitto, Francia, Germania, Ungheria, Iran, Italia, Messico, Paesi Bassi, Norvegia, Filippine, Portogallo, Russia, Sud Africa, Spagna, Svezia, Syria, Turchia, Regno Unito, Stati Uniti, e Venezuela. Di questi, 14 sono donne (32%).

A vincere questa edizione per la foto dell’anno è stato John Moore(presente all’apertura della mostra per la stampa) con lo scatto Crying Girl on the Border che mostra la piccola Yanela Sánchez, originaria dell’Honduras, che si dispera mentre lei e la madre Sandra Sánchez vengono arrestate da agenti della polizia di frontiera statunitense a McAllen, in Texas, il 12 giugno 2018.

In mostra da quest’anno anche una sezione dedicata al Digital Storytelling con una serie di video che raccontano gli eventi cruciali del nostro tempo.

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Al Maxxi, in mostra “l’anima del momento” di Paolo Pellegrin

C’è ancora un mese di tempo per vedere, al Maxxi di Roma, i 200 scatti esposti in “Antologia” la mostra delle opere di uno dei più importanti fotografi al mondo, l’italiano Paolo Pellegrin.

La mostra è organizzata in due sezioni, il buio e la luce o se preferite l’essere umano e la natura.

E’ un fantastico bianco e nero a dominare nelle opere di Pellegrin che con il suo occhio da reporter conferma come l’umanità, il dramma, il disagio, ma anche il vivere quotidiano, si possa documentare non solo nei luoghi dove si consumano drammi umanitari -Beirut, Gaza, Mosul, Kalar, Guantanámo- ma anche a Tokyo, Miami, Roma.

Pellegrin che attraverso i suoi scatti trasforma un ghiacciaio dall’alto, le onde del Mediterraneo ma anche i fori dei proiettili in una porta a Gaza in vere e proprie opere d’arte moderna.

Sotto il nostro fotoracconto della visita.

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Oltre al “muro”. Pink Floyd in mostra a Roma

Parafrasando un successo dei Beatles, è stata davvero una “Long and winding road” quella che ha portato Syd Barrett, Nick Mason, Roger Waters, Richard Wright e  David Gilmour dalle serate nei club della periferia londinese alle ricerche sonore della psichedelia ed al successo planetario di pubblico e critica.

Le difficoltà degli inizi, la alienazione mentale di Syd Barrett che già alla vigilia della pubblicazione del loro secondo album portò al suo allontanamento del gruppo, l’ingresso di David Gilmour, le difficoltà a far accettare la loro musica, i cui testi sono diventati negli anni più legati alla denuncia del disagio molto forte verso l’industria discografica in particolare e a determinate convenzioni sociali in generale, tutto ciò è ben evidenziato in questa articolata mostra presso il MACRO di Roma fino al 1 luglio 2018.

I numerosi oggetti, strumenti, amplificatori, dischi, manoscritti e fotografie incorniciano “attivamente” il percorso temporale.

Il visitatore è guidato in un dettagliato cammino cronologico attraverso le varie fasi creative del gruppo mettendo in evidenza sia il quadro di fondo nel quale tali creazioni hanno luogo che il contributo che i vari componenti hanno fornito. Non dimenticando tutti coloro che erano stati chiamati a tradurre nella grafica delle copertine, nella realizzazione di filmati promozionali e nella scenografia dei concerti le idee creative.

Le descrizioni nei pannelli esposti con l’ausilio audio che permette di ascoltare commenti, ricordi e opinioni non solo di Roger e compagni ma anche degli artisti della Hipgnosis con Storm Thorgerson in testa rendono molto vivo e godibile il percorso.

Storm è un amico dall’epoca della scuola di architettura frequentata da Mason, Waters e Wright ed ecco l’elemento comune che li lega nella visione dell’idea concettuale espressa in musica e tradotta nelle copertine e le installazioni sceniche, parti integranti dell’album e dei concerti.  Dalla prima collaborazione per il secondo album A Saucerful of Secrets un, immagine di pura ispirazione psichedelica, si percorrono espressioni grafiche e visive più esplicite e descrittive dell’idea di fondo dell’album: il prisma di Dark side of the moon, l’uomo in fiamme e la figura magrittiana di Wish you were here, il muro – The Wall  – che reale o mentale  costruiamo intorno a noi e fino alla drammatica atmosfera di incomunicabilità di The Division Bell.

In definitiva una splendida mostra.

 

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