Due le foto che possono rappresentare gli estremi della mostra “In prima linea. Donne fotoreporter in luoghi di guerra (fino al 13 novembre a Palazzo Madama di Torino): quella che ritrae tre donne armate in perfetta posa scattata da Annabel Van den Berger, scelta per il cartellone della mostra, e quella di Andreaja Restek che fissa il civile Siriano con giubbotto antiproiettile e Kalascnicof fumante che attraversa un incrocio sparando all’impazzata verso la zona da dove potrebbe arrivare il fuoco nemico.
Le 70 foto presentate dalle 14 donne fotoreporter non rappresentano, solo, immagini di guerra ma raccontano momenti di vita di chi cerca di sopravvivere nelle zone di conflitto o in quei Paesi dove i conflitti arrivano attraverso i racconti di chi tenta di lasciarseli alle spalle.
C’è lo scatto del militare che si protegge le orecchie mentre il compagno spara con un mortaio o la miliziana che accarezza un cane trovato per strada, il bambino che gioca con un’arma di legno oppure l’anziana donna con in mano un lenzuolo insanguinato, gli occhi delle donne siriane fuggite dal Libano e quelli azzurri di una ragazza in divisa. Momenti drammatici come la donna egiziana in rosso, inginocchiata, circondata da uomini e quelli di “pausa” come le donne nel Kurdistan appoggiate ad degli alberi mentre si riposano, una sembra intenta a scrivere una lettera, o del militare nella repubblica Centrafricana tranquillamente seduto su di una panchina con a fianco un “mucchio” d’armi.
Tra quelle che più di altre (per me) rappresentano la vita che continua nonostante tutto, quella scattata in Sudan da Camille Lapage che ritrae un uomo ed una donna per mano tra le macerie (e delle strutture di letti) ancora fumanti di un, credo, campo profughi.
Ma c’è differenza tra un fotoreporter donna ed uno uomo? Le durante la serata che l’Associazione Stampa Subalpina ha voluto dedicare alla presentazione della mostra dicono di no. Forse per loro è stato più difficile iniziare, raccontano, farsi prendere in considerazione ma poi il loro scopo è lo stesso dei colleghi uomini: raccontare cosa succedere con obiettività, dare voce a chi voce non ha.
Una signora seduta al mio fianco mentre guardiamo le fotografie che scorrono sugli schermi posizionati sotto il pavimento di vetro del cortile medievale di Palazzo Madama, mi dice: “ma come fanno a dormire la notte dopo aver visto tutto questo”?
La risposta l’aveva data qualche giorno prima Andreaja Restek, una delle fotoreproter che hanno esposto i propri lavori ma anche una delle organizzatrici. “Ognuna di noi –ha detto Andreaja Restekl- si comporta in maniera diversa anche se tutte ci creiamo una corazza con cui cerchiamo di tenere lontano il dolore che viviamo ma anche la consapevolezza di sapere che quello potrebbe essere stato il nostro ultimo viaggio”.
Come è stato per Camille Lapage, una delle 14 fotoreporter protagoniste della mostra. Camille è stata uccisa nella Repubblica Centrafricana nel 2014. Tra i suoi 5 scatti quello che la ritrae sorridente mentre attraversa un fiume con le sue macchine fotografiche al collo, gli scarponi in mano ed un gruppo di bambini alle spalle.
Una mostra da non perdere, potenti gli scatti, bellissimo l’allestimento. Unico appunto, le dimensioni dei caratteri delle descrizioni delle foto e dei profili delle autrici: troppo piccoli.
Attrezzatura utilizzata: Nikon D7000; obiettivo Sigma 17-70mm