Le foto del World Press in mostra al Mattatoio di Roma

Fino al 22 agosto, a Roma negli spazzi dell’ex Mattatoio è possibile visitare la 64° edizione del World Press Photo. La mostra, promossa da Roma Capitale – Assessorato alla Crescita culturale e dall’Azienda Speciale Palaexpo, ideata dalla Fondazione World Press Photo di Amsterdam e organizzata dall’Azienda Speciale Palaexpo in collaborazione con 10b Photography, ospiterà le 141 foto finaliste del prestigioso premio di fotogiornalismo, che dal 1955 premia ogni anno diversi fotografi professionisti per i loro migliori scatti contribuendo così a costruire la storia del miglior giornalismo visivo mondiale.

Per la sua 64° edizione il concorso ha visto la partecipazione di 4315 fotografi da 130 paesi diversi che hanno presentato un totale di 74470 immagini per contendersi il titolo nelle 8 diverse categorie del concorso di fotogiornalismo: Contemporary Issues, Environment, General News, Long-Term Projects, Nature, Portraits, Sports, Spot News. A vincere i due premi più importanti, il World Press Photo of the Year e il World Press Photo Story of the Year, sono stati rispettivamente il fotografo danese Mads Nissen e l’italiano Antonio Faccilongo. Nissen ha vinto con la foto The First Embrace, che mostra un’anziana abbracciata da un’infermiera in una casa di riposo per la prima volta dopo mesi a San Paolo, in Brasile. Faccilongo ha vinto con il progetto Habibi, un reportage sul contrabbando di sperma nelle carceri israeliane da parte di famiglie palestinesi che vogliono preservare i loro diritti riproduttivi.

Le foto in mostra raccontano le notizie più rilevanti dell’anno precedente: il coronavirus, ma anche le proteste per l’uccisione di George Floyd, la guerra del Nagorno-Karabakh, gli incendi nel Pantanal, l’invasione di locuste in Kenia, la rimozione delle statue di personaggi controversi.

L’ha visitata per i lettori di Fotoracconti.it Stefano Cipriani. Per visualizzare ed ingrandire le foto clicca sulla prima e scorri con la freccia.

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“Un’antologia” di Paolo Pellegrin è alla Reggia

Dopo essere stata presentata al MAXXI di Roma e alla Deichtorhallen di Amburgo, la mostra “Un’Antologia” di Paolo Pellegrin arriva nelle Sale delle Arti della Venaria Reale.
Rispetto a quella allestita al MAXXI, le sale più piccole della Reggia -ma più numerose- offrono la possibilità di apprezzare maggiormente le opere che, nella versione “sabauda”, sono state arricchite anche con dei filmati. L’adattamento della mostra allo spazio espositivo della Reggia di Venaria è stato curato dallo stesso Pellegrin.

La rassegna presenta oltre 200 fotografie selezionate dall’archivio personale del fotografo della storica agenzia Magnum Photos.

“Le fotografie di Pellegrin, per la gran parte in bianco e nero, ci portano “Tra il buio e la luce”, dai conflitti armati che dilaniano il mondo, all’emergenza climatica che aggredisce e ferisce la Natura e lo stesso Uomo, come nel caso degli incendi in Australia”, spiegano nel comunicato stampa gli organizzatori.

Particolarità della mostra di Venaria -oltre alla location che già da sola merita la visita- una sezione speciale ed inedita dedicata ad un racconto personale ed intimo di Pellegrin: le fotografie realizzate in Svizzera con la propria famiglia durante il periodo della quarantena per il lockdown del coronavirus. La dimostrazione che non serve essere in Afghanistan, in Cisgiordania, in Iraq per raccontare storie attraverso gli scatti. Se sei Pellegrin, anche dal giardino di casa si può creare emozioni.

Queste foto –ha raccontato Paolo Pellegrin– sono molto diverse dal mio abituale lavoro. Dopo decenni di un certo tipo di fotografia, molto cinetica e molto dinamica, mi sono ritrovato a cercare momenti di silenzio. Non avevo mai fotografato seriamente la mia famiglia o le ragazze prima. Sì, li ho fotografati con un iPhone, come farebbe qualsiasi altro genitore, ma sentivo di voler documentare quel momento. E’ stato il periodo più lungo in cui sia mai stato con la mia famiglia perchè sono sempre in viaggio. Passare quel tempo insieme è stato molto speciale. Allo stesso tempo, non penso alle immagini come a un diario di una quarantena. Ovviamente quell’elemento c’è, ma ho voluto toccare qualcosa che fosse più atemporale e universale. Qualcosa sulle ragazze, sul passare del tempo, sui cambiamenti. Qualcosa che fosse nel momento ma che anche lo trascendesse”.

La mostra sarà visitabile fino al 31 gennaio 2021, gli ingressi, anche nelle singole sale, sono a numero limitato per via delle norme anti Covid: meglio prenotare la visita online.

Sotto il nostro fotoracconto della visita. Clicca sulla prima foto per ingrandirla e scorri per vedere tutte le altre.

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”El Chapo” conquista la cintura dei pesi medi

Grande serata di boxe al Pala Gerbi di Asti dove Oliha Etinosa detto “El Chapo” e Carlo De Novellis si contendevano il titolo di campione italiano dei Pesi Medi.

Ad aggiudicarsi il match ai punti dopo 10 riprese match è stato Oliha Etiosa giovane pugile astigiano della Skull Boxe Canavesana.

Sotto alcune immagini dell’incontro, a questo link di fotox.it è possibile scaricare le immagini ad uso editoriale. per visualizzarle a tutto schermo, cliccare sulla prima immagine.

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Le Metropoli viste da Gabriele Basilico sono, in mostra

Da oggi 25 gennaio 2020, fino al 13 aprile, è possibile visitare a Palazzo delle Esposizioni di Roma, la mostra Gabriele Basilico. Metropoli, a cura di Giovanna Calvenzi e Filippo Maggia, promossa da Roma Capitale – Assessorato alla Crescita culturale e dall’Azienda Speciale Palaexpo, realizzata in collaborazione con l’Archivio Gabriele Basilico.

Dedicata a uno dei maggiori protagonisti della fotografia italiana e internazionale, la rassegna è incentrata sul tema della città con oltre 250 opere in diversi formati datate dagli anni Settanta ai Duemila, alcune delle quali esposte per la prima volta.

“La metropoli -hanno spiegato durante l’inaugurazione i curatori- è sempre stata al centro delle indagini e degli interessi di Gabriele Basilico (Milano 1944-2013). Il tema del paesaggio antropizzato, dello sviluppo e delle stratificazioni storiche delle città, dei margini e delle periferie in continua trasformazione sono stati il principale motore della sua ricerca”.

La mostra analizza questi temi mettendo a confronto le opere realizzate nelle numerose città ritratte, tra le quali Beirut, Milano, Roma, Palermo, Napoli, Barcellona, Madrid, Lisbona, Parigi, Berlino, Buenos Aires, Gerusalemme, Londra, Boston, Tel Aviv, Istanbul, Rio de Janeiro, San Francisco, New York, Shanghai, accostate secondo analogie e differenze, assonanze e dissonanze, punti di vista diversi nel modo di interpretare e di mettere in relazione lo spazio costruito.

Il percorso espositivo della rassegna si articola in cinque grandi capitoli: “Milano. Ritratti di fabbriche 1978-1980”, il primo importante progetto realizzato da  Basilico; le  “Sezioni del paesaggio italiano”, un’indagine sul nostro Paese suddiviso in sei itinerari realizzata nel 1996 in collaborazione con Stefano Boeri e presentata alla Biennale Architettura di Venezia; “Beirut“, due campagne fotografiche per la prima volta esposte insieme, realizzate nel 1991 in bianco e nero e nel 2011 a colori, la prima alla fine di una lunga guerra durata oltre quindici anni, la seconda per raccontarne la ricostruzione; “Le città del mondo”, un viaggio nel tempo e nei luoghi da Palermo, Bari, Napoli, Genova e Milano sino a Istanbul, Gerusalemme, Shanghai, Mosca, New York, Rio de Janeiro e molte altre ancora; infine  “Roma”, la città nella quale Basilico ha lavorato a più riprese, sviluppando progetti sempre diversi fino al 2010, in occasione di una stimolante quanto impegnativa messa a confronto tra la città contemporanea e le settecentesche incisioni di Giovambattista Piranesi.

Oltre alle opere in mostra, viene proposta un’ampia biografia illustrata che racconta attraverso brevi testi e immagini il percorso artistico e professionale di Basilico e tre video.

Sotto il fotoracconto di Stefano Cipriani, a questo link le immagini ad uso editoriali. Per visualizzare le foto clicca sulla prima e poi scorri con la freccia.

 

 

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Dalla metro al palcoscenico, ecco la Latin Vox Machine

La metropolitana – uno dei mezzi di trasporto più importanti di Buenos Aires – è stata teatro dell’incontro tra il musicista compositore e produttore venezuelano Omar Zambrano e un “corno” francese suonato un pomeriggio alla fermata Pueyrredón da un diciannovenne suo compatriota. Commosso dalla qualità e dalla bravura del ragazzo, che si stava guadagnando da vivere grazie alle offerte degli utenti della metropolitana, un’idea ha incominciato a ronzare nella testa del produttore compositore: riunire i musicisti venezuelani emigrati in Argentina.

L’idea era rischiosa e il terreno era sconosciuto, ma aveva un obiettivo chiaro, l’unione di musicisti professionisti nei ranghi corrispondenti al loro talento. Così ha scommesso sulla solidarietà, la fraternità e lo spirito combattivo che caratterizza la maggior parte dei venezuelani.

Grazie all’aiuto di Facebook, Zambrano ha convocato il maggior numero di musicisti per iniziare le audizioni. Molte persone, ansiose di sapere chi ci fosse dietro un progetto così ambizioso, si sono recate nella Sala d’Oro della Casa della Cultura del Governo di Buenos Aires.

È così che la Latin Vox Machine è nata e si è consolidata come progetto orchestrale e sinfonico nel 2017. L’orchestra ha iniziato con soli professionisti venezuelani, ma nel corso del tempo ha accolto musicisti di altre nazionalità fino a raggiungere 150 elementi. Cileni, colombiani, argentini, paraguaiani, ecuadoriani, uruguaiani, peruviani e siriani hanno trasformato la Latin Vox Machine in un’orchestra senza confini.

La qualità dell’orchestra è stata riconosciuta da diverse organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite (ONU), l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM). Insieme a tutti loro, i grandi palcoscenici della “Città della rabbia” (Buenos Aires) si sono inchinati al talento della Latin Vox Machine. Il Globo Theater, il Centro Culturale Kirchner, il Teatro Coliseo e il Centennial Park Amphitheater sono stati testimoni dei diversi concerti che LVM ha fornito alla comunità. Ora è la volta del grande “Teatro Opera”, dove artisti di fama mondiale mettono in mostra il loro talento da oltre 8 decenni.

Il “Natale senza frontiere” riunirà questa domenica quasi tremila immigrati venezuelani. In questo periodo dell’anno le emozioni corrono alte e per chi di noi è lontano da casa la nostalgia cresce. Latin Vox Machine farà del suo meglio per non farci sentire così lontani da casa in un recital pieno di musica venezuelana e caraibica. Chi vi scrive promette di fornirvi maggiori dettagli dopo il concerto, ma non posso promettere di non farmi scappare le lacrime agli occhi.

Secondo i dati dell’UNHCR in Venezuela, 4 milioni di persone sono emigrate, e secondo i dati del Servizio Migrazioni argentino, 180.000 venezuelani si trovano nel sud del Paese.

Testo e foto Sikiuk Mendez, traduzione Stefano Scherma

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